Sara Padovano 1 anno in USA

Spesso la gente mi chiede:” lo rifaresti?”

Io rispondo:”senza ombra di dubbio”

 Sono arrivata negli Stati Uniti in un caldo  pomeriggio di agosto, dopo quelli che ricordo essere stati i 3 giorni più stressanti della mia vita. Pensare “Tra 2 giorni sarò dall’altra parte del mondo”, “Questa e’ l’ultima volta che vedo la mia migliore amica”, veder piangere la propria madre,  e’ qualcosa che non capita tutti i giorni ad un adolescente.

Ho passato le nove ore di volo pensando a cosa avevo appena lasciato, Immaginando cosa avrei trovato una volta in America. Ero un misto di eccitazione e paura, un insieme di sentimenti che mi ha poi accompagnato per quasi tutto l’anno.

Ho trascorso il mio anno a Cedarburg, una piccola cittadina al nord del Wisconsin.

Chiunque pensi agli Stati Uniti, immagina grandi città, moderne e affollate. Mi e’ bastato poco per scoprire che questa fantasia e’ ben lontana dalla realtà. La classica cittadina americana non conta più di 10.000 abitanti, e’ piccola, non offre quasi nulla se non un paio di negozietti, una chiesa e un supermercato in centro (dove tutto si addormenta
alle 8 di sera), e’ molto conservatrice e la gente un po’ retrò.

Inizialmente questo è stato un po’ uno shock: la zona dove abito mi appariva TROPPO
silenziosa e solitaria, le strade del centro sempre TROPPO vuote.

E’ bastato poco perché anche la mia seconda fantasia svanisse: i media trasmettono l’immagine-tipo degli adolescenti americani: aperti, indipendenti, liberi e un po’ ribelli. Nulla di piu’ lontano dalla realtà:  Nella tipica, piccola comunità americana, i giovani non conoscono altro che la propria  realtà; pensano che l’America sia tutto il mondo. Più di una volta mi sono state fatte domande del tipo: “Che lingua si parla in Italia?”, “Ma in Italia ce l’avete la televisione in casa?” e anche: “Roma è la capitale dell’Italia, vero?”.

Inoltre la loro indipendenza è ben limitata: gli adolescenti sono estremamente controllati, sono dipendenti dai genitori in molti aspetti della loro vita; sono molte le cose che  NON POSSONO fare e ben poche quelle che POSSONO fare.

Inizialmente credevo che non ce l’avrei mai fatta! Ero incapace di apprezzare qualunque cosa facessi perchè passavo il tempo a paragonare tutto con l’Italia.

Successivamente ho imparato che tutto ciò che è nuovo va apprezzato per la sua diversità; non è ne’ migliore ne’ peggiore, e inoltre ho capito che se tutto fosse stato uguale a casa, sarebbe stato inutile venire fin qui, ne’ avrei imparato così tanto dalla mia esperienza.

L’inizio della scuola e’ stato un altro dei tanti, grandi cambiamenti che ho dovuto affrontare.

Le scuole americane sono concepite in modo totalmente diverso da quelle italiane: in Italia “scuola” sono le sei ore al mattino e i compiti a casa. Negli Stati Uniti la vita degli adolescenti è la scuola e tutte le attività che essa offre.

Dal punto di vista didattico, la scuola americana invoglia ogni studente a scegliere la propria strada, offrendo decine e decine di corsi da seguire, ognuno completamente diverso dall’altro, e ciascuno con diversi livelli di abilità così da favorire sia il bravo studente (il quale in classi avanzate può arricchire ulteriormente il proprio sapere) sia lo studente medio (il quale può scegliere classi un po’ meno impegnative così da non rimanere indietro ed essere seguito  individualmente).

Ogni studente viene invogliato a dare il meglio di sé, e tutti hanno un obiettivo  che li spinge a lavorare sodo: dall’esonero a sostenere esami finali, a piccoli privilegi scolastici, a borse di studio, offerte dalla comunità.  Ogni studente dispone di tutto il materiale di cui possa aver bisogno ai fini scolastici: dai libri di testo, a cartine geografiche, penne, matite, calcolatrici ecc.

Qui l’istruzione riceve la considerazione che merita; le strutture sono esteticamente piacevoli e, come ho già accennato, dotate di tutte le possibili attrezzature. Gli studenti dispongono di diversi brevi intervalli durante il giorno, e vengono applicate tutte le regole necessarie per mantenere l’ordine.

Dal punto di vista extrascolastico, la scuola è attrezzatissima, Ogni studente può
partecipare alle numerosissime attività che normalmente si organizzano:  gli sport più svariati, i club d’arte, musica, recitazione, dibattito,  i club di lingue, AFS Intercultura, ecc. Inoltre, Scuola e Comunità sono fortemente collegate: la Scuola invoglia gli studenti a collaborare a progetti sociali come raccolte fondi, progetti per la pulizia dell’ambiente, tutoraggio per gli alunni delle scuole elementari ecc. La Comunità, a sua volta,  risponde con donazioni di fondi, offre borse di studio agli studenti più meritevoli, offre spazi pubblici e supporto per l’organizzazione delle svariate manifestazioni che la scuola organizza durante l’anno. Ovviamente c’e’ del “buono” e del “cattivo” in ogni cosa: devo ammettere che con tutte queste attività extracurriculari e tutte queste “distrazioni”, alcuni allievi sembrano trascurare  il  lato accademico: Siccome scelgono autonomamente i corsi da seguire, non e’ raro che i più mediocri scelgano solo le “classi spazzatura”, in modo da non caricarsi con troppi impegni e responsabilità.  Inoltre, se e’ vero che i professori propongono spesso  nuovo materiale e metodi di apprendimento alternativi, e’ pur vero che esso si riduce a volte ad un livello mnemonico: i voti vengono quasi del tutto basati su “scan-tron” tests, i quali non richiedono alcuna elaborazione; gli allievi non vengono mai chiamati a riferire oralmente la lezione; mappe concettuali e
progetti con collegamenti tra più materie  non sono mai presi in considerazione.

Nonostante ciò, durante quest’anno, sono stata fortemente e positivamente impressionata dal sistema scolastico americano.Dal punto di vista scolastico sono molte le cose di cui sento di aver fatto tesoro. In primo luogo,  e’ da non sottovalutare il miglioramento della mia lingua inglese: un anno fa,  non sarei stata in grado di sostenere la più semplice delle conversazioni in inglese; ora parlo fluentemente e sono in grado di capire tutto ciò che ascolto per radio, in TV, o che mi viene detto. Ovviamente raggiungere questo risultato non e’ stato facile. I  primi 2 mesi del mio soggiorno sono stati molto difficili: il dover frequentare lezioni frontali svolte in una lingua non mia, studiare tutte le nuove materie (persino la matematica o la geologia) dall’inglese non e’ stato per me quel che si dice un gioco da ragazzi.
Se dal punto di vista scolastico ho guadagnato molto, sono ancora più numerosi i traguardi che ho tagliato dal punto di vista personale ed umano.  Durante
quest’anno, specialmente agli inizi, sono stati molti i cambiamenti a cui ho
dovuto adattarmi, e senza l’aiuto di nessuno. Per la prima volta ho dovuto
imparare ad essere veramente indipendente. Il confrontarsi con una nuova cultura per un cosi lungo periodo, può avere fortissimi impatti su una persona: per la prima volta mi sono scoperta a mettere in discussione quelli che erano i miei ideali e le mie opinioni di sempre, perché una volta in contatto con la diversità ho imparato ad accettarla invece che criticarla. Prima mi ritrovavo spesso nel ruolo di “radicale”, le  mie opinioni erano spesso irremovibili, ora ho imparato ad  ascoltare, a “mettermi nei panni dell’altro”, a mediare…Dopo un anno ho imparato ad avere più fiducia in me stessa, mi sento più aperta nel valutare le numerosissime possibilità che la vita offre. Durante l’anno ho incontrato  persone da ogni dove, ragazzi che condividevano la mia stessa esperienza di exchange student.
Da ora in poi, so di avere “un amico ad aspettarmi” in Giappone, in Tailandia,
in Turchia, in Svezia, in Brasile…. Mi sento “CITTADINA DEL MONDO”!!!
Ciò che ho vissuto negli Stati uniti  non e’ stato semplice (e’ costato molto impegno e a volte molti sacrifici), così come non è stato semplice il ritorno-

Alla partenza, 1 anno sembra un tempo infinito destinato a non trascorrere mai…Poi passano i mesi, ti accorgi che la fine si sta già avvicinando, che manca “1 mese”, “una settimana”, “un giorno”, e poi dovrai salutare la tua “mamma” e il tuo “papà”, i tuoi amici, i luoghi che sono diventati “un po’ come casa”…

I miei primi giorni in Italia sono stati altrettanto confusi e difficili dei miei primi giorni negli Stati Uniti: mi si stringeva la gola per come mi mancavano la mia mamma americana, mio fratello, i miei amici; Trovavo che in Italia molte cose fossero cambiate, molti amici non erano li ad aspettarmi come magari mi sarei immaginata…Ora che sono in Italia da 3 mesi, posso dire di aver raggiunto nuovamente un equilibrio, mi sono “riadattata” a casa, anche grazie all’aiuto della mia famiglia e di amici, ma una cosa è certa: una parte di me è ancora a Cedarburg, e non credo tornerà mai….Spesso la gente mi chiede:” lo rifaresti?” Io rispondo:”senza ombra di dubbio”

Sara ha voluto fare anche l’esperienza dell’ospitalità. QUI la testimonianza di Renata, dal Brasile per 1 anno a casa di Sara